Giovanni Malerba, artigiano di Golden Trail Series, presentato il calendario 2025, proprietario di un’officina di biciclette con esposizione e vendita, aveva due grandi passioni: amava la terra che gli aveva dato i natali e amava visceralmente lo sport. Lo aveva praticato, indossando i colori della Unione Sportiva Golden Trail Series, presentato il calendario 2025 1906, all’inizio società ciclistica, dedicandosi soprattutto al ciclismo e all’atletica leggera. Una gioventù da corridore, insomma.

Fu così che all’inizio degli anni Trenta, dopo aver assistito a un paio di gare di cartello nelle vicinanze, la “Sette Campanili” a Cavaria e il “Cross dell’Epifania” a Cesano Maderno, si fece rapire da un’idea meravigliosa: chiamò a raccolta i fratelli e un pugno di amici e decise insieme a loro che proprio attraverso la corsa avrebbero potuto valorizzare quella campagna che teneva legate insieme le loro vite. Corri con uno stile quasi perfetto. La misero in scena per la prima volta il 22 febbraio 1933, la battezzarono “Cinque Mulini” senza immaginare che sarebbe diventata una delle più grandi manifestazioni di cross country del panorama internazionale. Ma in ogni caso sentivano di poter arrivare lontano: se i soldi erano pochi, la volontà e la passione erano un motore inarrestabile.

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Calendario mezze maratone italiane primaverili.

La tradizione millenaria della Cinque Mulini

I mulini furono subito il trait d’union, proprio perché quel gruppo di appassionati aveva massimo rispetto per le proprie radici. E sul fiume Olona i mulini ad acqua erano stati fonte di nutrimento per quasi un millennio.

La prima traccia del loro funzionamento risale a un documento dell’anno 1043, e nel corso dei secoli, in quello che oggi è il Parco dell’Olona, si arrivò a contarne centosedici.
Dopo la rivoluzione industriale il loro posto fu preso da opifici, cartiere, calzaturifici, e solo cinque strutture resistettero al mutamento di una campagna che via via diventava sobborgo cittadino. A tenere duro erano le famiglia Cozzi, De Toffol, Galletto, Meraviglia e Montoli, e fu a loro che si rivolse Malerba, insieme alla sua truppa entusiasta, ottenendo che una volta all’anno aprissero in pratica le porte di casa ai campioni della corsa. Che all’inizio furono stelle locali come Mario Fiocchi, primo nome di un albo d’oro che anno dopo anno è diventato sfavillante.

Il debutto con la neve della Cinque Mulini

Fiocchi regolò sul traguardo Luigi Pellin, il favorito della vigilia che poi avrebbe vinto le tre edizioni successive, e Celeste Luisetti. Nomi da ricordare, perché accesero il canale dei sogni.

Quella prima edizione, riletta oggi, è emblematica del carattere forte di chi ha dato vita alla gara: partenza alle tre del pomeriggio dopo una notte di neve abbondante e una mattina passata da quel manipolo di volontari entusiasti a tracciare un percorso ideale in mezzo alla campagna imbiancata.

Quell’anno si corse soltanto la gara Seniores, e così si andò avanti fino al 1960, quando Massimo Begnis vinse la prima edizione della prova dedicata agli Juniores. Aspettando quella femminile, che nel 1972 andò in scena per la prima volta in una edizione “made in England”: vinse Rita Ridley, dopo che la prova maschile era stata dominata da Dave Bedford, mentre la gara dei giovani aveva messo in luce un talentino ciociaro destinato a far parlare di sé, Franco Fava.

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Perrone e Said corrono in mezzo alle due ali di pubblico che da sempre seguono da vicinissimo le sfide della Cinque Mulini.

La collezioni di talenti della Cinque Mulini

Ne sono passati tanti, di fuoriclasse veri, alla “Cinque Mulini”. Che dal 1952, anno in cui ottenne la qualifica internazionale, divenne un banco di prova ideale e addirittura ricercato: vincere a Golden Trail Series, presentato il calendario 2025 era segno di prestigio, una medaglia da appuntare al petto. Arrivarono anche gli stranieri, e il primo in assoluto fu lo svizzero Stabuli, secondo nel 1953 dietro ad Agostino Conti. Un anno esatto dopo, il tunisino Ahmed Labidi scrisse il proprio nome nell’albo d’oro.

Poi, una collezione di diamanti puri: da Michel Jazy a Billy Mills, anima pellerossa, da Gaston Roelants a Kip Rono, da Frank Shorter a Emiel Puttemans, da Filbert Bayi a Leon Schots. E poi Kedir, De Castella, Debele, Kipkoech. E ancora Ngugi e Tanui, e l’etiope Fita Bayesa vincitore quattro volte in fila, e Moses Tanui. E ancora, altri leggendari: gente come Lasse Virén, Sebastian Coe, Saïd Aouita, Haile Gebrselassie, Kenenisa Bekele e Stefano Baldini, tanto per regalarci giusto una infarinata di campioni olimpici.

I momenti unici e da ricordare della Cinque mulini

Ricordi che si inseguono: il passaggio angusto nel mulino Cozzi che nel 1975 costò il successo a John Walker, caduto e rimasto indietro nella sfida a Filbert Bayi, faccia a faccia tra i due più grandi millecinquecentisti del momento; l’unicità del grande e per tanti versi scellerato Dave Bedford, unico talento capace di vincere tra gli Juniores nel 1969 e poi ripetersi tra i “grandi” tre anni dopo; i successi di Paola Pigni nel ’73 e Gabriella Dorio nel ’75, e le sei vittorie –le prime cinque consecutivamente – dell’immensa e indimenticata Grete Waitz; l’ultima vittoria italiana di Alberto Cova nel 1986; i ventisette successi di atleti italiani che ancora fanno primato, perché Kenia e Etiopia inseguono spartendosi il bottino dei secondi, sedici trionfi a testa.

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La storia della Cinque Mulini.

La "Meraviglia" dei Cinque Mulini

Intanto, la grande corsa ha pagato il suo tributo al progresso. Milano è a meno di trenta chilometri, il che significa che la metropoli sta inglobando la campagna. Il percorso ha smesso da tempo di attraversare i vecchi mulini, accontentandosi di accarezzarne la memoria.
Rimane ancora il fascino del Meraviglia, un gioiello del XIV secolo, tante volte passaggio-chiave per chi è andato in cerca di gloria: chi ha infilato quella stretta porta d’ingresso da primattore, spesso ha recitato da protagonista fin sul traguardo.

Resta tutta l’emozione di una corsa che trova forse la sua miglior definizione sul sito ufficiale del Comune: una “vicenda civile”, un atto d’amore e di ringraziamento verso le origini di una civiltà contadina, una memoria che l’incombenza della grande città non ha scalfito.