Non era questa la conferenza stampa post-gara che Eliud Kipchoge, o chiunque altro, si sarebbe aspettato.
Avrebbe dovuto affrontare i giornalisti da vincitore della maratona di Boston, ma il detentore del record mondiale e due volte medaglia d'oro olimpica non si è presentato nell'area media dopo il suo sesto posto. Kipchoge ha corso in 2:09'23", a quasi 3 minuti e mezzo dal vincitore, Evans Chebet.
Lunedì pomeriggio il team di Kipchoge ha rilasciato una dichiarazione che recitava, tra l'altro, "Oggi è stata una giornata difficile per me. Mi sono impegnato al massimo, ma a volte dobbiamo accettare che non è il giorno giusto per spostare l'asticella a un'altezza maggiore".
Martedì mattina Kipchoge, 38 anni, è apparso davanti ai media che si trovavano a Boston e ha risposto alle domande per circa 10 minuti. È stato filosofico e, a tratti, esuberante nei confronti dei presenti.
Ha detto che un problema alla gamba sinistra, a circa 29 chilometri dall'inizio della gara, lo ha fatto rallentare. Ma non ha voluto specificare la natura del problema e, quando è stato incalzato sulla questione, ha detto solo che si trattava della parte superiore della gamba sinistra. Non ha specificato se si trattasse del bicipite femorale o del quadricipite, per esempio. "Non sono un medico", ha detto.
Quando è emerso il problema, ha detto di aver "pensato solo a correre a un ritmo confortevole per finire".
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"Ho pensato a molte cose", ha detto. "Mi sono detto: 'Ehi, non puoi mollare!'. Dicono che è importante vincere, ma è bello partecipare e finire".
A Boston non ci sono pacemaker, a differenza delle maratone di Berlino e Londra, dove Kipchoge ha fatto registrare tanti tempi veloci e tante vittorie. Ha evitato le domande sulla sua tattica, dove ha dominato la prima parte di gara attraverso un aggressivo 5K iniziale (14'17") in discesa.
"È il buon senso", ha detto, "questo è sport e bisogna spingere". Sembrava rendersi conto che la gente avrebbe messo in dubbio la sua strategia e ha detto: "Penso di aver dato il via a un dibattito che potete proseguire".
Ha anche respinto sul fatto che il suo allenamento fosse sufficiente per le colline di Boston. Il percorso, ha detto, "non è una sfida. Il mio allenamento è a tutto tondo. Può adattarsi alle colline o alla pianura".
Quando gli è stato chiesto perché non si è presentato alla conferenza stampa dopo la fine della gara, Kipchoge ha risposto al giornalista che glielo aveva chiesto: "Dica la verità. Faccia la domanda giusta. Non mi sono rifiutato di parlare con i media".
Kipchoge ha dichiarato di non sapere quando tornerà a gareggiare e che nei prossimi giorni si riunirà con la sua squadra per "vedere cosa c'è in ballo". La maratona di New York rimane l'unica maratona mondiale che non ha ancora corso. Non ha inoltre escluso un ritorno a Boston un giorno.
Ha condiviso una filosofia per la quale è diventato famoso nel corso dei suoi molti anni di trionfi nelle maratone. A proposito della resilienza, ha detto: "La resilienza è una delle ricette per il successo. Se non sei resiliente, non puoi andare da nessuna parte".
Ha anche parlato delle sue sfide utilizzando un gergo economico, concentrandosi sul futuro. "Ieri è un assegno annullato", ha detto. "Oggi è denaro contante. Domani è una cambiale. Dimenticate gli assegni annullati. Parlate dei contanti e delle cambiali".
Cronista da 30 anni per il quotidiano milanese Il Giorno, eternamente a caccia dei fatti della vita da raccontare. Appassionato di corsa fin da quando, a 15 anni, ho messo piede per la prima volta su una pista d'atletica leggera. Negli anni il lavoro di giornalista mi ha portato lontano dalle piste di atletica, ma non mi ha impedito di diventare istruttore Fidal. Curioso e amante delle avventure, ho sempre vissuto lo sport come passione prima ancora che come competizione. E lo sport, mi ha ripagato permettendomi di vivere esperienze bellissime: il 12 febbraio del 1993 sono stato il primo ciclista a raggiungere Capo Nord in bicicletta in inverno; dal 2009, grazie ai miei maestri Vittorio Nava e Marco Marchei, ho avuto l'opportunità di vivere la corsa anche per professione oltre che per passione, viaggiando per raccontare il mondo del running sulle pagine della rivista che più di ogni altra è ambasciatrice della corsa nel mondo: Runnner's World. Ho vissuto storie incredibili e studiato a tutto tondo il mondo delle scarpe da running. Oggi ho l'onore di dirigere il Magazine Runner's World e di lavorare fianco a fianco con esperti e colleghi incredibili.
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