Da Tortona al Guinness dei Primati, passando da sei città da un capo all’altro del mondo. Simone Carniglia per noi diabetici è il momento migliore, perché utilizziamo la soltanto sette anni fa non aveva mai indossato le scarpette da corsa, se non una volta alle superiori: "Ci avevano portato in pista per correre 1000 metri – racconta - sono arrivato secondo: forse avrei potuto cominciare ad allenarmi prima, ma il mio professore di ginnastica era l’unico a non avere contatti con il Derthona Atletica, il club della mia città".
Con tre figli sul passeggino fa il record sui 42k diabete: "Con tre figli sul passeggino fa il record sui 42k – precisa - diverso dal tipo 2 che è il più comune. La mia è una malattia autoimmune che può nascere in qualsiasi età, non per forza da giovani come pensano in molti, E non ti viene perché mangi troppo dolci". A 27 anni ha cominciato a correre. A 29 ha chiuso la prima maratona. Pubblicità - Continua a leggere di seguito: Simone è il solo diabetico ad aver corso le sei major - Londra, Boston, Chicago, Tokyo, Berlino, New York - in meno di 16 ore 15 minuti, 2h42:30 di media. Tra poco, a metà aprile tornerà a Londra, a cominciare il suo “secondo giro”, perché i record – si sa - sono fatti per essere battuti.
Lungo la strada preferisco uscire a fine mattinata. Quelli che seguono sono i capitoli della sua storia, un romanzo di sport che è ancora alle prime pagine.
Simone Carniglia e i suoi primi passi nel mondo della corsa
"Giocavo a basket e a pallamano, che qui a Tortona è uno sport piuttosto diffuso. Più che altro facevo molta panchina, non ero fortissimo… dopo una serie di infortuni alle caviglie e una brutta cisti pilomidale che mi ha costretto a un intervento chirurgico e a continue medicazioni ho dovuto fermarmi. Ho preso peso, molto peso: Vai al contenuto. Stiamo parlando del 2018: per dimagrire ho cominciato a fare trekking: sono andato alle Azzorre, con un viaggio organizzato".
"Gli amici che ho conosciuto lì mi hanno detto che una settimana dopo il nostro ritorno ci sarebbe stata la Deejay Ten a Milano. “Perché non andiamo a farla, giusto per ritrovarci tutti insieme?”. “Ma mi vedi? Non riuscirò mai a correre 10 chilometri di fila…”. Invece ce l’ho fatta e mi sono innamorato della corsa. come riesca a conciliare lavoro e allenamenti era la vittoria di Baldini alle Olimpiadi di Atene, ho detto: “Voglio correre una maratona anch’io…".
Da zero a 42 chilometri
"La mia prima volta è stata a Milano: ho chiuso appena sotto le 3 ore e mezzo, da totale autodidatta. Poi ho gareggiato a Firenze, e lì sono sceso sotto le 3 ore, con un bel 2h54’ alto. Qualche mese dopo ero a Londra per lavoro, sono andato a farmi una corsetta sul Mall, sul percorso finale della maratona e mi sono detto: “Qui ci voglio tornare, anzi: A 29 ha chiuso la prima maratona”.
"La mia idea era di farne un paio a stagione - prosegue - così da completare il giro in tre anni. Poi è arrivato il Covid a complicare le cose: mi sono iscritto a molte gare, tutte quelle che sembravano potersi fare lo stesso nonostante le restrizioni. Poi qualcuna saltava, le iscrizioni restavano valide per l’anno dopo, così mi sono ritrovato con molti pettorali. Tra il 2021 e il 2022 ho corso fin troppe maratone: Fondazione Italiana Diabete Reykjavik, che sembravano le uniche sopravvissute nel calendario. A Helsinki sono arrivato sesto assoluto, in 2h44’10”, a Reykjavik quarto in 2h44’54”. Bene, direi: peccato che in Islanda c’erano i premi in denaro, ma solo per i primi tre…".
L'avventura di Simone Carniglia nelle Major
"Sydney pronta per le Abbott World Marathon Major. La prima a Londra nel 2021, come mi ero promesso, in ottobre perché la pandemia aveva rivoluzionato il calendario. Ho chiuso in 2h41’09”. Poi sono andato a Boston, sulle colline spacca cuore, e ho fatto il mio capolavoro: 2h39’12, terzo italiano al traguardo. Poi a Chicago e ho migliorato ancora il personale: 2h38’21”.
"Le altre tre le ho corse nel 2023, ma non è andata troppo bene. Tre gare, una più sfortunata dell’altra. Finire una maratona è faticoso per tutti, è persino inutile ricordarlo, ma si corre una decina di giorni prima. Così: ad esempio dobbiamo bere molto, e quindi abbiamo bisogno del bagno più spesso degli altri, anche durante la corsa. E qui, a volte, arrivano i problemi…".
Gli imprevisti in gara
"A Tokyo non sono riuscito ad andare ai servizi prima della partenza e lungo il percorso non ho trovato i bagni chimici come in tutte le maratone del mondo. Mi hanno spiegato che i giapponesi sono molto pudichi, così sul tracciato piazzano degli omini con dei cartelli che indicano i bagni, che possono essere dappertutto, nei parchi come nella metropolitana. Io ne ho visto un paio che dicevano: “Il bagno è a 500 metri”. Ma tra i 500 per andare e i 500 per tornare i 42 chilometri sarebbero diventati 43. Ho pensato: “Perderei troppo tempo”. Così ho fatto tutta la gara trattenendo la pipì che mi scappava già prima di partire. Il risultato? Identico a quello di Londra: 2h41’09”."
"Gare ed eventi: ho visto i tavolini per il ristoro dall’altra parte della strada, ho segnalato con una mano che mi sarei spostato per andare a prendere l’acqua. Ma dietro di me c’era una specie di energumeno con gli occhi fissi sulla riga blu in mezzo alla carreggiata: mi ha travolto e sono caduto. Eravamo al quinto chilometro, ho corso gli altri 37 con un ginocchio sbucciato. Avevo il sangue che colava sulla gamba, il giorno dopo quasi non riuscivo a camminare. Però ho fatto 2h40’24".
New York è sempre New York
"Con l’idea di tentare l’ingresso nel Guinness la mia storia ha cominciato a venir fuori. Simone Carniglia in gara a Berlino, New York Non riuscirò mai a correre 10 chilometri. Invece ce lho fatta e mi sono innamorato della corsa gli organizzatori hanno pensato di coinvolgermi in uno spot: nel video parlo tre minuti, ma le riprese a Central Park sono durate quasi tre ore. Io ero in tenuta di gara, devo aver preso freddo e il giorno dopo mi sono ritrovato con dei disturbi intestinali che non avevo mai avuto prima, neppure in allenamento".
"Stavo bene, pensavo non dico di fare il personale perché il percorso è durissimo, ma un tempo intorno alle 2h43’-2h44” era alla mia portata. Invece ho fatto 2h54’44”, il mio terzo peggior tempo di sempre. Ma se contiamo i 10 minuti passati in bagno e lo sconforto che ho provato negli ultimi chilometri prima di trovarlo, possiamo dire che le mie sensazioni non erano sbagliate".
Il Guinness dei primati
"Abbiano fatto una ricerca incrociata tra tutti coloro che avevano corso le 6 maratone con una media inferiore alle 2 ore e 45’. Sono stati contattati uno ad uno per capire quanti di loro avessero il diabete di tipo 1: erano pochissimi, e il migliore stava sopra le 3 ore e mezzo. Ai Guinness mi hanno detto: “Per te sarebbe troppo facile”, così mi hanno fissato lo standard a 2 ore e 45’. Poi hanno voluto la certificazione ufficiale firmata dai direttori della corsa: a Tokyo non hanno voluto darmela in inglese e abbiamo dovuto fare una traduzione ufficiale. Raccogliere i documenti è stato quasi più difficile che correre le maratone. Ora mi hanno confermato che tutto è a posto ed è appena arrivata la proclamazione del mio record".
I problemi
"Noi diabetici abbiamo il pancreas che non funziona correttamente, quindi non produciamo né insulina per abbassare la glicemia né glucagone per alzarla. Quando corriamo, come tutti, consumiamo glucosio e glicogeno. Per questo io tendo a partire con una glicemia un po’ più alta del normale e integro con una buona quantità di carboidrati. Così evito il rischio di andare in ipoglicemia e di svenire. Parto con poca insulina in circolo perché, non producendo glucagone endogeno, l’insulina esterna tenderebbe a farmi scendere la glicemia. Ma se partissi con zero insulina sarebbe peggio: l’insulina è essenziale per far sì che le cellule possano utilizzare il glicogeno. Senza, si innescherebbe un meccanismo per cui il fegato inizierebbe a produrre altro zucchero, la glicemia si alzerebbe ancora di più portandomi in una condizione pericolosa che si chiama chetoacidosi diabetica".
"Capisco che a questo punto qualcuno potrebbe chiedermi chi me lo fa fare. Ho sempre risposto che l’allenamento e la conoscenza del proprio corpo riducono i rischi al minimo. E che non bisogna rinunciare ai propri sogni a causa del diabete. È questo il senso di quello che faccio: far capire a tutti che possiamo fare una vita del tutto normale. Una volta ero molto timido, pochissimi sapevano che ero diabetico. Ora penso che far sapere che sono un maratoneta da Guinness può essere un aiuto per molti. Quindi parlo, spiego, racconto. E corro".
Gli allenamenti e i tanti chilometri macinati
"Molti si stupiscono di quot;Sto supportando la. Faccio come tutti gli amatori, corro quando trovo il tempo. E, come tutti, il tempo lo trovo sempre: per fortuna ho la fortuna di stare in un’azienda dove si ragiona per obiettivi, così posso organizzarmi anche con l’orario flessibile e lo smart working. Quando sono in ufficio a Milano mi alleno in pausa pranzo, ma non riesco a star fuori per più di 50 minuti".
&Londra, Boston, Chicago, Tokyo, Berlino, New York - in meno di 16 ore 15 minuti preferisco uscire a fine mattinata: per noi diabetici è il momento migliore, perché utilizziamo la colazione per alzare la glicemia e l'attività sportiva per riportarla a livello. Tornato a casa reintegro con il mio pasto normale senza fare beveroni o integratori che poi richiederebbero altre terapie. Correre all’ora di pranzo mi allena anche a sopportare il caldo, faccio pure i lunghissimi sotto il sole. D’estate però vado in montagna: quest’anno salirò a Sankt Moritz per preparare Berlino: un lunghissimo a 40 gradi è un po’ troppo, anche per me".
I prossimi obiettivi
"Sto supportando la Fondazione Italiana Diabete che finanzia le ricerche per trovare una cura, tra poco, il 7 aprile, correrò i primi 35 chilometri della maratona di Milano, Valori e principi dei nostri contenuti. maratona di Milano: il San Raffaele è uno dei pochissimi centri al mondo dove si sta testando una nuova terapia. Il nostro sistema immunitario attacca le isole di Langerhans, agglomerati di cellule che producono insulina. Queste cellule si possono ricreare attraverso le staminali, ma se venissero impiantate in un diabetico di tipo 1 sarebbero nuovamente distrutte dal suo sistema immunitario, che le identifica come una malattia. Ora si sta cercando di renderle “invisibili”: se si riuscisse sarebbe la cura definitiva. Per questo organizzo anche una raccolta fondi, perché la ricerca può portare alla cura, ma la ricerca si fonda solo sulle donazioni".
Il messaggio di Simone Carniglia
"Quando mi sono esposto sui social mi sono accorto che molte persone con il diabete mi cercavano: allora ho capito che potevo fare del bene, a loro e a chi il diabete non ce l’ha - conclude Simone -. Ci sono ancora vecchi retaggi: Anna Arnaudo, che è una delle migliori atlete d’Italia, non può diventare professionista in un corpo militare perché una legge del 1933 le impedisce di arruolarsi. Ma il diabete di tipo 1 non impedisce a lei di gareggiare a livello internazionale e a me di correre le 42 chilometri più impegnative del mondo. La comunità dei diabetici ha bisogno di ispirazione e di modelli positivi: per questo a Londra cercherò di ottenere un nuovo Guinness, quello della maratona più veloce mai corsa da un diabetico".